lunedì 2 giugno 2025

Age of Power?

 Adoro Levi-Strauss: è un antropologo che ha segnato la storia della disciplina in una maniera sconcertante. Sto cercando di recuperare tutte le sue opere maggiori come: Il pensiero selvaggio, Antropologia strutturale, Le strutture elementari della parentela, Antropologia strutturale II, etc. 

Proprio ieri stavo leggendo un paragrafo di Antropologia strutturale II che parlava della distinzione tra società CALDE e società FREDDE. Con la prima dicitura l'antropologo intende le società post-neolitiche dove l'avvenire e il differenziarsi della storia è ribollente (e nelle quali, potremmo aggiungere, l'energia è prodotta e utilizzata in ingenti quantità), con la seconda si riferisce a tutte quelle società che sono quasi del tutto scomparse nel mondo, ovvero quelle che in passato definivamo primitive. Queste ultime sono caratterizzate da una solidarietà interna che "scappa" lo storificarsi. 

Ad un certo punto l'autore indica come nel bollore storico di società come quella occidentale (ma anche in quelle para-occidentali, che assieme, io indistintamente chiamo "dei palazzi e dei razzi") si vengano a creare due fazioni, chi detiene il potere e opprime contro gli oppressi. Questo dopo aver chiarito come quelle "primitive" siano scandite da una vita politica unanime.

L'analisi dell'antropologo non è errata: nel mondo, ma basta guardare anche la propria città, vi sono molti casi di persone sfruttate, gente che lucra sopra le sfortune degli altri, persone con tanto danaro che riesce a influenzare l'ambiente circostante. Ciò nonostante c'è il rischio di ridurre le preziose intuizioni e osservazioni di Levi-Strauss al mero discorso politico. E magari qualcuno potrebbe ritenere che ogni fatto sia politico e degno di essere letto in questa cornice, ma io mi fermerò al suggerire che ogni fatto è SOCIALE

La criticità della società in cui viviamo è caratterizzata da una copiosa quantità di persone che abitano molto vicine. Il fatto di essere molti possiamo senza dubbio affermare che favorisca il proliferarsi di tante vite diverse che non condividono la stessa struttura sociale. Magari nel vostro vicinato ci sono dieci persone che su un argomento la pensano in dieci maniere differenti. oppure nella vostra stessa famiglia ci sono posizioni radicalmente diverse alla vostra. Sembra più come se spuntiamo in diverse regioni del mondo e dovessimo ritrovare il nostro GRUPPO. Parola fondamentale perché è sinonimo di identità: per stare in un gruppo noi abbiamo bisogno di solidificare meccanismi che ci legano a quelle persone e ci fanno riconoscere come coesi ad un qualcosa che vibra con quello che noi crediamo giusto, vogliamo per il nostro bene e vogliamo difendere. Ma da chi si deve difendere? Da chi sta fuori dal gruppo. Levi-Strauss sottolinea molto come nelle piccole società indigene che studiava spesso, se non sempre, chi non apparteneva a "Noi" non era un vero umano. Ma l'autore sottolinea anche che questi popoli erano abbastanza lontani (o abbastanza simili) tra di loro per non entrare in competizione. Ma attenzione, perché qui non si parla semplicemente di una competizione per le risorse del terreno, ma di competizione delle idee, di cosa è buono pensare! 

Con queste premesse a me non risulta difficile immaginare che in un contesto sociale così grande e vario come quello che abitiamo, l'identificazione di gruppo possa coincidere anche solo con la singola persona per alcuni individui. In uno scenario del genere, dove quasi si annaspa per trovare la propria cultura, per ritrovare un riconoscimento, per vibrare con un consenso sociale in cui ci si possa rispecchiare, la lotta per il potere non svela forse il nostro terrore nell'essere inghiottiti e annientati dall'avversario? La corsa al disperato controllo non è forse motivata dal non voler sparire nelle fauci dell'altro?

Sarebbe bene riflette su questo poiché a me sembra che a volte diamo per scontato che se mettiamo al potere la persona giusta allora ah-ah ce l'avremmo fatta, non periremo più. 

Poi mi chiedo: ma per scardinare tutto un sistema di soprusi (che affligge anche chi sembra goderne) sarebbe forse impensabile senza intraprendere una strada comune a quelle popolazioni che io chiamo "della terra e della magia"? Però non credo che sia alla nostra portata. 

Mi sembra quindi che ci siano solo tre opzioni: o si crolla nell'anarchia; o ci si affida a qualche santone. Ma queste due soluzioni non faranno altro che farci ristagnare nel problema. Allora resta la terza, ovvero, l'IMPENSABILE

venerdì 3 maggio 2024

Viva l’antifascismo?

 Negli ultimi giorni ho pensato molto alle varie battaglie che si sono tenute a suon di post, e non solo, nella settimana del 25 Aprile. Giornata della liberazione un po’ particolare quest’anno, sotto un governo di destra! Tra le questioni più importanti che si è tenuto a sottolineare ci sono: il dubbio amletico sulla “fascistità” di chi ci rappresenta al governo; la decantazione sopraffina delle differenze (o delle uguaglianze) fra Fascismo e Comunismo; la crudeltà, da un lato, e la prodezza, dall’altro, dei partigiani.
Insomma, personalmente, ritengo che si sia nuovamente persa l’occasione per ricordare la nostra più recente storia come italiani, il significato che ha avuto e cosa si è giocato nella sconfitta del movimento fascistico e nella vittoria dell’antifascismo su di esso.

Cosa intendiamo con antifascista?
Semplicissimo: una persona contraria a quel particolare movimento italiano nato nella prima metà del XX secolo che ha instaurato una dittatura e tutte le sue derivate (o derivabili) declinazioni.
Punto.
Ma è possibile che per l’italiano del XXI secolo ci sia una seconda accezione per il termine “antifascista”?
Ritengo proprio di sì.

Voglio arrivarci prendendo in considerazione il carattere valoriale del fascismo. Se un fascista del ventennio si svegliasse nel mondo di oggi potrebbe considerarci dei veri cattivi, noi che ogni giorno tentiamo di costruire e mantenere un mondo democratico. Al di là del movimento di Mussolini, sembra che oggi non si faccia attenzione al fatto che la natura violenta ed usurpante del fascismo, può non appartiene solo a quella precisa cosa: basti pensare alla Santa Inquisizione. La loro base era il cristianesimo che nasce come una delle più amorevoli filosofie, ma cosa facevano? Bruciavano vivi gli eretici, ovvero chi gli andava contro. Ditemi se non è “fascista” questa cosa, semplicemente loro non vestivano di nero, non adoravano il Duce e via dicendo. Il punto è che malgrado, probabilmente, c’era tra quelli della Santa Inquisizione chi non ci credeva nemmeno e pensava solo ad arricchirsi, altri pensavano di agire per il bene.

Essere antifascisti oggi dovrebbe significare anche: persona che non spezza le gambe in nome del “Bene”.

Perché piegare le persone che non seguono la nostra idea di Bene superiore è “fascista”, anche se non ci rasiamo la testa, anche se non cantiamo “faccetta nera”, anche se non abbiamo busti del duce in casa.
Ovviamente ciò non si riferisce a negare la realtà di una violenza del tutto umana o il fatto che in ognuno di noi c’è un diverso equilibrio tra pugno di ferro e carezza di velluto nell’affrontare la vita; il punto è se si lascia permettere l’esistenza di certi punti di vista, nonostante li si ritenga profondamente sbagliati, o se li si vuole schiacciare ed eliminare dall’esistenza in nome di Dio, del Duce, o di qualunque altra Verità si creda di tenere in tasca. 
Ciò potrebbe emergere dappertutto: destra, sinistra, sopra o sotto.

Quindi, viva l’antifascismo che ha liberato la Nazione!
Ma viva anche quel sacrosanto antifascismo che non condanna solo le camice nere, ma ogni forma di fede cieca e sanguinaria.




Nota* Letture consigliate: 

Manifesto degli intellettuali fascisti e antifascisti, fuori scena, G. Gentile - B. Croce, 2023

Fascism and Democracy, pinguin books, George Orwell




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